L’educazione cristiana
Nel Vangelo è racchiuso il segreto fondamentale di ogni educazione
“Figlio perché ci hai fatto questo?
Ecco tuo padre ed io angosciati ti cercavamo.” (Lc. 2,48)
“Dal Vangelo di oggi, cosa possono trarre da tutto ciò i genitori cristiani, i quali vivono oggi tutta la difficoltà che presenta il rapporto con i propri figli? Verrebbe da dire: niente di immediato; i tempi erano così diversi e le persone coinvolte in quel caso erano così diverse, il Figlio di Dio, la Madonna, San Giuseppe! Invece, nelle immagini descritteci dal Vangelo è racchiuso il segreto fondamentale di ogni educazione - almeno di educazione cristiana- se la famiglia non realizza alcune condizioni preliminari. La prima di queste condizioni è una sana vita spirituale che mantenga la famiglia alla presenza di Dio, sotto la sua luce e la sua benedizione. Dire vita spirituale significa dire preghiera personale e familiare, frequenza dei Sacramenti e della parola di Dio, amore reciproco e del prossimo.
Un’altra condizione, anch’essa fondamentale, è l’amore reciproco e l’intesa dei genitori tra loro. Il più grande dono che i genitori possono fare a un figlio è di amarsi l’un l’altro. Dono grande almeno quanto quello della vita fisica. Non è sottrarre qualcosa ai figli perciò il coltivare questo amore, farne la cosa più importante della famiglia, trovare ogni tanto un po’ di tempo da passare insieme, anche lontano dai figli se possibile, per parlarsi, comunicarsi esperienze e difficoltà, per rinnovare la propria donazione reciproca in un clima di fiducia e di intimità. Molti genitori pensano ancora che questo sia un lusso, un egoismo, un trascurare i figli; continuano perciò a riversare separatamente tutta la loro attenzione sui bambini, finendo per ingigantire ogni problema e diventando estranei l’uno all’altro e ossessivi verso i figli. Sbagliano; bisogna ricostruire e tenere sempre vivo quel soggetto educativo plurale che abbiamo sentito poco fa sulla bocca di Maria: “ Tuo padre ed io”. Nient’altro nella vita può sostituire la sicurezza e la forza che derivano al bambino dal sentirsi come sostenuto da quelle due volontà unite in una sola: tuo padre ed io; tua madre ed io. Quando questo manca, si realizza alla lettera la parola di Gesù: “Se una casa è divisa in se stessa, quella casa non può reggersi.” I bambini ne approfittano per appoggiarsi o all’uno o all’altro dei genitori e avere, così, sempre partita vinta; oppure, ne soffrono fino a diventare insicuri e ribelli.
Educa tuo figlio e prenditi cura di lui
Occorre che i genitori sappiano come utilizzare in concreto il loro accordo educativo
Vita spirituale e sforzo continuo di unità della coppia sono dunque le basi. Ma questo non basta; occorre che i genitori sappiano come utilizzare in concreto il loro accordo educativo, che cosa esigere e che cosa concedere ai propri figli. Serpeggia, in questo campo, un grosso equivoco che bisogna dissipare: una educazione che sia davvero cristiana non è neppure concepibile se non si parte da questa certezza di fede, che cioè il bambino non viene al mondo naturalmente buono, predisposto a ogni genere di virtù, solo che lo si lasci fare e non si disturbino i suoi naturali istinti, ma che, al contrario, noi veniamo al mondo già feriti dal peccato inclini all’egoismo e a ogni sorta di male. Molti genitori cristiani, senza accorgersi, hanno assorbito intorno a ciò una mentalità del tutto pagana: vari caroselli televisivi e il permissivismo di certe pseudo-teorie scientifiche hanno finito per convincerli che il bambino è una cosa graziosa da stare a guardare con orgoglio mentre cresce bello e rigoglioso abituandosi a fare l’ottimo “consumatore”. La cosa più importante così non è educare i figli, ma risparmiare o ammassare ricchezze per il loro futuro. S. Giovanni Crisostomo diceva, già a suo tempo, di costoro che trascurano la salvezza dei figli e la propria, preoccupandosi solamente di come, una volta arricchiti, potranno lasciare e le ricchezze ai figli e queste a loro volta ai loro figli, e questi ai posteri, diventando così, per così dire, trasmettitori di (parola da decifrare) e di beni anziché genitori.
Nella Bibbia si leggono queste parole: “Chi ama il proprio figlio usa spesso la frusta per gioire di lui alla fine. Chi corregge il proprio figlio ne trarrà vantaggio… Chi accarezza un figlio ne fascerà poi le ferite… Educa tuo figlio e prenditi cura di lui, così non dovrai affrontare la sua insolenza” (Sir. 30,1-13). E’ un codice alquanto severo, ma contiene una verità importante: educare significa, alla lettera, tirar fuori, fare emergere qualcosa, come si tira fuori una statua da un blocco di pietra grezza. Suppone perciò che l’uomo maturo non viene fuori dal bambino per sviluppo spontaneo, ma che occorre aiutarlo a formarsi una volontà, un carattere , un senso morale e dei sentimenti validi. Solo eccezionalmente, per fare questo, bisogna ricorre ai mezzi coercitivi suggeriti dal saggio biblico con l’immagine della frusta. A volte, può esser più efficace proprio l’incoraggiamento, il complimento, la carezza e il dialogo. Ho sentito una volta una mamma dire alla propria bambina di undici anni di ritorno da una commissione: “Brava! Hai scelto bene: so che di te mi posso fidare sempre” e ho visto negli occhi che brillavano la gioia tranquilla e la fiducia che questo dava alla bambina e, di riflesso, alla mamma.
Il Dialogo e la stima reciproca
Dialogare con i propri figli significa concretamente stare con essi
Dicevo, il dialogo. Dialogare con i propri figli significa concretamente stare con essi , passarci del tempo insieme, non ridurre tutta la comunicazione alle poche battute scambiate al mattino prima di andare al lavoro e alla sera prima di accendere il televisore. Significa ascoltare i figli fino in fondo, farci una passeggiata insieme, giocarci qualche volta insieme se sono piccoli; prenderli sul serio nelle loro cose e non troncare le questioni dall’alto della propria autorità o della propria “esperienza”. Il nemico numero uno del dialogo non è la severità, ma l’ira: l’ira soffoca il dialogo e irrigidisce. È la reazione più comune in tanti genitori, specie se hanno figli tendenzialmente ribelli, ma anche la più inutile; non serve a niente meglio aspettare di avere riacquistato la calma perché di fronte a uno scoppio d’ira il bambino non pensa che ha sbagliato ma solo che il genitore è in collera e si sfoga con lui.
A volte, il dialogo esige che un padre o una madre sappia perfino chiedere scusa di uno sbaglio o di un eccesso; questo educa enormemente all’onestà, al rispetto, alla stima reciproca; l’autorità di un padre o di una madre ne esce rafforzata non scalfita.
A proposito delle cose da farsi perdonare dai propri figli, ce n’è una delicata di cui è bene però chiedere perdono direttamente a Dio e non al figlio: quella di non averlo voluto. Non è infrequente, al giorno d’oggi, il caso di una madre che, senza rendersene conto, soffre delle conseguenze di un rifiuto, di un “no” pronunciato dentro di sé il giorno che le fu detto: “Aspetti un figlio!”. Ci sono dei conflitti e delle ribellioni tenaci da parte dei figli che si radicano lì e che non si risolvono finché quella madre non chiede sinceramente a Dio di guarirla da quel ricordo, di perdonarla e di aiutarla ad accogliere veramente il proprio figlio.
I figli sono soprattutto di Dio
Affidarli a lui che li conosce meglio, che conosce i tempi di ognuno
Il cumulo dei doveri educativi che abbiamo fin qui tracciato è certamente incompleto, ma sufficiente a spaventare qualsiasi genitore. San Paolo dice di non scoraggiare i figli; ma che dire allora dei genitori di fronte a questo compito così difficile? Per i genitori cristiani c’è una sola via per non scoraggiarsi di fronte al fallimento o di fronte ai figli che crescono ribelli o spenti; pensare che i figli non sono solo di loro, ma anche e sopratutto di Dio; affidarli a lui che li conosce meglio, che conosce i tempi di ognuno e le capacità di ognuno non per scaricarsene, ma per non fare di un insuccesso in questo campo una tragedia che spenga ogni gioia di vivere e comprometta tutto il resto della vita di famiglia. Si può fallire come genitori, anche senza alcuna colpa propria. Quando non si riesce più a parlare al proprio figlio di Dio resta ancora una possibilità: parlare a Dio del proprio figlio, cioè pregare per lui, affidarlo al Signore, anche se esso è andato lontano come il figliol prodigo.
Maria e Giuseppe provarono anch’essi, come abbiamo sentito, la pena di aver smarrito il figlio; si trattò - è vero- di uno smarrimento buono, “per il Padre”, ma la loro angoscia non fu per questo meno reale. A loro possono ricorrere tutti i genitori: quelli che dai propri figli hanno solo consolazione perché riescano a farli crescere in età e sapienza, fino alla piena maturità; quelli tribolati a causa dei figli, perché non si scoraggino, ma con pazienza ne attendano il cambiamento e il ritorno.”