L'ascolto

a cura di p. Pancrazio

L’ascolto nella vita spirituale del cristiano

Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio

Carissimi fratelli e sorelle, certamente una delle parole più usate nella Sacra Scrittura è proprio il verbo ascoltare, nelle sue molteplici forme verbali. E’ come se l’esperienza di fede del popolo d’Israele passasse non tanto attraverso la vista, senso privilegiato a partire dall’epoca moderna soprattutto con lo sviluppo delle scienze empiriche e l’imporsi dei nuovi mezzi di comunicazione quanto piuttosto attraverso l’udito.

“Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore” (Dt 6,4)

così il libro del Deuteronomio sintetizza il cuore dell’Alleanza che Dio ha stretto con Israele conducendolo nella Terra Promessa e questo stesso comandamento viene identificato da Gesù come il primo tra tutti (cfr Mc 12,29). Sempre Gesù invita i suoi discepoli all’ascolto della Sua Parola: “chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica” (Mt 7,24), dice, è colui che costruisce la propria esistenza sulla roccia, colui che diventa sua vera madre e fratello (cfr. Lc 8,21), e chi ascolta e crede ha la vita eterna ed è passato dalla morte alla vita (cfr. Gv 5,24).

La vista, infatti, è il senso del compimento, quello di quando “lo vedremo così come egli è” (1Gv 3,2), quando “i puri di cuore…….vedranno Dio” (Mt 5,8), quando vedremo non più in maniera confusa, come in uno specchio, ma “faccia a faccia” (1Cor 13,12). In effetti la vista – anche nell’ottica della scienza moderna – rappresenta il senso del possesso, del dominio, e quindi si imporrà solo quando Dio sarà tutto in tutti (cfr. 1Cor 15,28), quando saremo posseduti definitivamente ed interamente dal Signore ed in noi il regno di Dio sarà perfetto. In quanto, però, viatori su questa terra non viviamo ancora di possesso ma di ricerca, di desiderio, di aspirazione ed il senso umano per questo tempo è proprio l’udito, da perfezionare ed affinare, sul quale dobbiamo sempre vigilare per timore di ingannarci, senso così provvisorio ed incerto che ben manifesta il nostro procedere nell’oscurità di noi stessi.

L’ascolto, quindi, è l’atteggiamento primo della persona di fede, è la caratteristica imprescindibile per ogni cammino con il Signore, è il senso distintivo dell’uomo di Dio. 

Dice il Signore nel libro dell’Apocalisse:

“Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20).

Non possiamo assolutamente dimenticarci il motivo fondamentale del nostro essere qui, nemmeno quando l’urgenza delle cose da fare, l’insorgere di problemi contingenti, una certa ansia che ci assale nell’affrontare il dedalo di situazioni della quotidianità prova a distrarci dall’unica cosa necessaria: il Signore Gesù. E’ chiaro che le qualità umane sono un aiuto importante nell’organizzazione della nostra vita, ma è altrettanto chiaro che una perfetta organizzazione, non radicata sul fondamento di Cristo e sulla costante ricerca della Sua volontà, è da considerarsi alla stregua della distesa di ossa inaridite che si presentò in visione davanti al profeta Ezechiele (cfr. Ez 37), sopra le quali doveva essere profetizzato lo Spirito perché potesse tornare a vivere.

Per questo motivo, carissimi fratelli e sorelle, la capacità di entrare nella tenda del convegno che il Signore ha costruito nell’intimità di ognuno di noi e di ascoltarvi la soave voce del Signore che ci edifica, corregge, purifica, risana, illumina, sostiene, è caratteristica necessaria di ogni vero cristiano.

Per questo vi esorto come diceva Santa Teresa d’Avila, citando le parole del Qoèlet (Qo 4,10) vae soli, “guai a chi è solo”, a non pensare di poter camminare nella vita spirituale da soli ma di saper scegliere anche voi, qualcuno con cui confrontare il vostro cammino spirituale, il vostro discernimento individuale, per non rischiare in mezzo alla cacofonia che spesso domina la nostra interiorità.

Ecco, miei cari, segnato il primo passo dell’ascolto nella nostra vita. Ovvero il decisivo ascolto di Dio nella nostra esistenza.


Ascoltare l’altro per cercare con maggior sicurezza la volontà di Dio.


Il secondo passo è quello che ci porta ad ascoltare l’altro per cercare con maggior sicurezza la volontà di Dio. Nessuno di noi può avere la certezza di conoscere senza ombra di dubbio la volontà di Dio. Essa non è sempre evidente alla nostra umanità ferita dal peccato, al nostro intelletto accecato dall’orgoglio, ai nostri sensi intorpiditi dalle passioni, per cui – pur essendo il pensiero di Dio sempre verità piena ed assoluta – spesso noi non siamo in grado di raggiungerla con le nostre fragili forze. Dobbiamo sempre tenere presente quanto dice il Signore per bocca del profeta: “I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri” (Is 55,8-9). Chiunque, quindi, presumesse della propria capacità di ascoltare sempre ed infallibilmente la voce di Dio, già sarebbe in gravissimo e pericoloso errore per sé e per gli altri. È piaciuto a Dio donarci un ambito chiaro e certo dove faticare per discernere la Sua volontà: la Chiesa! Sentire cum Ecclesia, e direi anche sentire in Ecclesia! E la prima esperienza ecclesiale che facciamo è quella porzione di Chiesa fatta di quei fratelli e quelle sorelle che il Signore ci ha posto accanto. Il confronto aperto, attento e fiducioso, quindi, è lo strumento principale attraverso il quale noi ricerchiamo la volontà di Dio. Anche qui si tratta di ascoltare, di cercare di distinguere – all’interno della parola dell’uomo e dell’espressione delle sue idee ed esigenze – la voce silenziosa e sostanziale del Signore che passa e ci interroga proprio attraverso il sacramento del fratello e della sorella. Se veramente crediamo in questa realtà ed in questa esigenza, se riusciamo a prescindere dalle nostre personali idee ed aspettative per cercare la dimensione di Dio, allora creeremo certamente ambiti ed occasioni di confronto, possibilità di sentire ed esprimere opinioni altre, non per cercare conferma alle nostre quanto piuttosto per trovare quell’idea diversa e nuova che è più conforme al Vangelo, che – scomodandoci – ci obbliga ad uscire dai nostri schemi per aprirci all’orizzonte di Dio. 

Carissimi, il dialogo – non inteso come pluralità di monologhi quanto piuttosto come relazione creativa e feconda tra parola proferita e parola ascoltata – è un elemento fondamentale nel cammino di discernimento della volontà di Dio. Ma se questo è vero in genere, lo è ancora di più nella nostra Fraternità che intende far convivere elementi così diversi – per natura e vocazione – in un unico mirabile edificio cristiano. Così, la primitiva ispirazione che Betania diventasse luogo di condivisione per tutte le realtà presenti nella Chiesa, portava in sé anche una chiamata ad un impegno profondo al dialogo, all’ascolto di ciò che è diverso da me per trovare in Gesù (e non nel singolo) la sintesi edificante e vera.

Dobbiamo renderci conto di avere sempre bisogno di quel confronto che non ci permette di accontentarci delle nostre posizioni ma che ci spinge sempre ad essere aperti ad alternative migliori e più conformi al pensiero di Dio. Purtroppo la nostra epoca, contraddistinta dall’individualismo e quindi dall’assolutizzazione personale delle proprie idee relative, non ci ha aiutato nel preparare un contesto culturale capace di vero dialogo. Oggi siamo sommersi dalle parole, ci sono ore di colloqui, ma siamo sempre più come un arcipelago di isole non comunicanti gli uni con gli altri. È sicuramente parte della sfida che il Signore ci chiama ad affrontare in questo nostro tempo, quella che ci chiama ad instaurare un nuovo modo di comunicare, cominciando proprio dall’ascolto dell’altro – in primis quello con la A maiuscola – che possa cambiare anche le nostre realtà personali in un processo di crescita e maturazione continua. Per fare questo, però, dobbiamo vincere quella falsa presunzione secondo la quale il bene della relazione sia espressa dal consenso e dall’approvazione, e non piuttosto da un confronto che aiuti ad avvicinarci alla verità. La prospettiva della verità comporta lo sviluppo, dentro di noi, di un’apertura fondamentale alle idee diverse dalle nostre, addirittura di una tranquillità davanti alle critiche. Dovremmo essere assetati di ogni critica che ci aiuti a crescere, che metta in crisi il nostro modo di vivere proponendocene uno migliore; altresì dovremmo rimanere sereni di fronte ad ogni parola indistinta e vaga, incapace di concretizzare il singolare malessere in proposte realizzabili, oppure inefficace nel convincere la nostra ragione – messasi in discussione – di essere latrice di un bene migliore. In poche parole: non dovremmo prenderci troppa cura della nostra buona fama o della nostra immagine, preoccupandoci dell’approvazione degli altri, quanto del nostro cammino verso il Signore, verso – appunto – la verità. 

Ecco così segnato il secondo passo nel cammino dell’ascolto, ovvero la capacità di aprirsi all’altro nella ricerca della volontà di Dio. Ci tengo nuovamente a sottolineare come questo passo sia particolarmente fondamentale nel contesto della nostra Fraternità, dove l’alterità è elemento costitutivo e che, nel dialogo, cerca il superamento dell’uniformità nella vera e propria unità che lo Spirito Santo edifica tra le molteplici e differenti membra della Sua Chiesa. 

Ascolto per farci carico dei nostri fratelli e sorelle!



Il terzo passo fondamentale dell’ascolto è quello che riguarda la cura e la custodia dei fratelli e delle sorelle.

Abbiamo già sentito dire quale sia l’ordine delle priorità nella nostra vita: Dio, primo assoluto ed inoppugnabile, poi le persone, poi le cose. Ebbene, dopo l’indiscutibile primato di Dio nella nostra esistenza, abbiamo un secondo ambito privilegiato: il fratello e la sorella. All’inizio di questo intervento ho citato Gesù che indicava il primo comandamento agli scribi:

“Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e e con tutta la tua forza” (Mc 12,29-30)

ma poi Gesù aggiunge qualcosa che non gli era stato richiesto dal suo interlocutore, il secondo comandamento che, nella versione di Matteo viene detto simile al primo (Mt 22,39):

“Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questi” (Mc 12,31). 

Riconosco come possa essere vero che, spesso, le relazioni fraterne all’interno di una comunità (noi aggiungiamo in una famiglia o in un luogo di lavoro dove si trascorrono molte ore gomito a gomito) divengono quelle più difficili, maggiormente cariche di contrasto, emotivamente meno appaganti perché segnate dalla disillusione e dalla sfiducia, eppure è proprio lì che il Signore ci chiama a vivere l’Amore più grande:

“dare la (…) vita per i propri amici” (Gv 15,13)

lasciando che la grazia ci conduca a vivere il comandamento nuovo: amarci gli uni gli altri come Lui ci ha amati (cfr. Gv 13,34; 15,12).  

L’ascolto è proprio la prima manifestazione concreta di questo amore perché ci scomoda in tanti sensi: ci occupa del tempo prezioso, bene assai scarso nella nostra vita; ci obbliga a farci carico dei pesi degli altri; ci mette nella necessità di dare fiducia ad un fratello o sorella che, spesso, non ha lo stesso atteggiamento verso di noi. In poche parole questo ascolto ci espropria e ci chiama a vivere una dimensione veramente eucaristica della nostra vita, a farci pane che si lascia mangiare, indipendentemente dall’atteggiamento di chi ci mangia … affetto o rabbia, moderazione o voracità. 

Qualche indicazione di come questo ascolto debba avere luogo. 

Innanzitutto, quando ci poniamo di fronte ad un fratello o una sorella dobbiamo renderci conto di trovarci davanti al “tutto di Dio”, ovvero ad una persona per la cui salvezza il Signore Gesù ha versato tutto il Suo sangue. Si tratta, quindi, di una presenza preziosa di cui dobbiamo prenderci cura: niente fretta quindi e niente asprezza! Il nostro ascolto non sarà il luogo dove fare presenti tutti i fastidi e le pesantezze che viviamo in quella relazione, ma sarà innanzitutto accoglienza del mistero dell’altro. Chi abbiamo di fronte è una persona ferita dal peccato che – direttamente o indirettamente – ha toccato la sua vita, ma altresì riempita della grazia di Dio e rivestita di una dignità straordinaria: quella dei figli di Dio. L’ascolto attento e premuroso è la possibilità di entrare, con delicatezza e pudore, in comunione con la parte più profonda dell’altro e lì facilitare l’entrata del Signore Gesù. Qualsiasi sia l’argomento trattato nel colloquio, non dobbiamo mai mancare di aprire la strada a Gesù, di aiutare il fratello o la sorella ad alzare lo sguardo verso il Signore. Non è necessario, in un colloquio, dare sempre delle risposte, anche perché spesso non ci vengono chieste delle risposte ma soltanto di accogliere il peso e la difficoltà che l’altro vive. L’importante è che, lasciando il dialogo, il fratello o la sorella possano avere la certezza – in rettitudine di coscienza – di essere stati ascoltati e che la loro parola non ha incontrato un muro, né sarà lasciata cadere nel vuoto, ma che è stata accolta e che verrà custodita come qualcosa di importante, senza diventare oggetto di diceria.  

Il Papa Paolo VI

Verso la fine del Concilio, ha scritto un’enciclica sulla Chiesa e, nel considerare il suo rapporto con il mondo contemporaneo, indica nel dialogo il giusto strumento per costruire dei ponti. Le indicazioni che egli ci dà sono ancora validissime e ve le voglio proporre come un piccolo vademecum per vivere l’ascolto nel vostro servizio

Scrive il Pontefice che il dialogo

“(81) indica un proposito di correttezza, di stima, di simpatia, di bontà da parte di chi lo instaura; esclude la condanna aprioristica, la polemica offensiva ed abituale, la vanità d’inutile conversazione. Se certo non mira ad ottenere immediatamente la conversione [per noi il cambiamento n.d.r.] dell’interlocutore, perché rispetta la sua dignità e la sua libertà, mira tuttavia al di lui vantaggio, e vorrebbe disporlo a più piena comunione di sentimenti e di convinzioni. (82) Suppone pertanto il dialogo uno stato d’animo in noi, che intendiamo introdurre e alimentare con quanti ci circondano: lo stato d’animo di chi sente dentro di sé il peso del mandato apostolico, di chi avverte di non poter più separare la propria salvezza dalla ricerca di quella altrui, di chi si studia continuamente di mettere il messaggio, di cui è depositario, nella circolazione dell’umano discorso. (83) Il colloquio è perciò un modo d’esercitare la missione apostolica; è un’arte di spirituale comunicazione. Suoi caratteri sono i seguenti. La chiarezza innanzi tutto; il dialogo suppone ed esige comprensibilità, è un travaso di pensiero, è un invito all’esercizio delle superiori facoltà dell’uomo (…). Altro carattere è poi la mitezza, quella che Cristo ci propose d’imparare da Lui stesso: Imparate da me che sono mansueto e umile di cuore; il dialogo non è orgoglioso, non è pungente, non è offensivo. La sua autorità è intrinseca per la verità che espone, per la carità che diffonde, per l’esempio che propone; non è comando, non è imposizione. È pacifico; evita i modi violenti; è paziente; è generoso. La fiducia, tanto nella virtù della parola propria, quanto nell’attitudine ad accoglierla da parte dell’interlocutore: promuove la confidenza e l’amicizia; intreccia gli spiriti in una mutua adesione ad un Bene, che esclude ogni scopo egoistico. (84) La prudenza pedagogica infine, la quale fa grande conto delle condizioni psicologiche e morali di chi ascolta: se bambino, se incolto, se impreparato, se diffidente, se ostile; e si studia di conoscere la sensibilità di lui, e di modificare, ragionevolmente, se stesso e le forme della propria presentazione per non essergli ingrato e incomprensibile. (85) Nel dialogo, così condotto, si realizza l’unione della verità con la carità, dell’intelligenza con l’amore.” (Paolo VI, Ecclesiam suam, Lettera enciclica del 6 agosto 1964). 

Miei cari, la realtà della nostra Fraternità non può prescindere dall’ascolto come sorgente della vita buona, come mezzo di crescita, come fondamento di comunione. Alle volte potremmo avere l’impressione che questo ascolto ci consumi e ci espropri, che non ci permetta di prenderci cura di noi stessi, e lo guardiamo con lo sguardo riservato alle indebite intrusioni nella nostra vita. Con l’esperienza della mia esistenza, nella quale ho cercato di vivere radicalmente la dimensione dell’ascolto, posso dirvi, invece, che oltre la fatica, talvolta dilaniante, si trova la dimensione serena e pacifica della volontà di Dio, per cui l’ascolto diventa – al contrario – un cibo molto nutriente

Dice infatti il profeta: 

“O voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite, comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti. 
Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete.” (Is 55,1-3a)